E’ SOLO L’INCIPIT!

Essere la miglior versione di sé è una metamorfosi dolorosa, come il bruco che uccide sé stesso per diventare farfalla, ma allo stesso tempo è il più grande riconoscimento di ciò che la vita ci ha riservato e di ciò che siamo riusciti a fare in quel meraviglioso viaggio chiamato evoluzione.

Camminare con le proprie gambe, non significa semplicemente muovere i primi passi per dire che si sta imparando a camminare, bensì dirigersi volontariamente verso la propria meta. Mi chiamo Alessia e ho quasi 43 anni, l’arte di stare in piedi e di muovere i miei passi l’ho conquistata a nove mesi, ma ci ho messo 42 anni per capire come usare al meglio questa competenza innata.

Il muoversi nel mondo molto spesso può presentarsi come un dovere, il semplice dovere di muoversi, districarsi tra mondo del lavoro, scuola, vita privata e sociale; ci sentiamo risucchiati dal vortice del si deve fare così, darsi da fare per raggiungere chissà quali mete convenzionali o strade già percorse dai nostri genitori o amici, senza però sentirsi presente. Si è perso il gusto e il desiderio di raggiungere i propri obiettivi e magari il proprio scopo nella vita. Forse è capitato solo a me, ma per chi si sente o si è sentito in balia degli eventi e con il desiderio di scoprire il perché della sua esistenza voglio raccontarvi il mio incontro con il coaching e l’arte dello sviluppo orientativo.

 

La capacità di orientarsi non è semplicemente sapere dove vuoi andare, ma anche riconoscere i piccoli passi che ti separano dalla meta. Essere in grado di cogliere le occasioni che ti si presentano per poter raggiungere il tuo obiettivo.

Spesso ho avuto la sensazione di essere fortunata, di aver preso una strada anziché un’altra, di aver scoperto passioni grazie a piccole coincidenze o incontri fortuiti; adesso posso dire che era la mia competenza orientativa innata che con poche informazioni, ma attivata dall’intenzione, si manifestava nel mio viaggio

Ed è così la competenza orientativa è insita in ognuno di noi ed è una delle grandi eredità impresse in noi dalla Natura; immaginate come un piccolo seme si schiude al momento giusto, quando la pioggia primaverile e il sole estivo sono in grado di dargli il nutrimento necessario per diventare la miglior versione di sé, oppure la pianta di fagiolo o la vite che indirizzano i propri rami rampicanti su sostegni sicuri. La grande differenza è che una vite non vuole diventare un girasole eretto in direzione del sole, perché non potrebbe dare i suoi dolci frutti, portati a maturazione dalla protezione dei tralci e delle foglie.

Noi esseri umani viviamo costantemente al di fuori di noi, in continua comparazione con gli altri, definendo modelli e stili di comportamento vincenti e così perdiamo il contatto con la nostra meta e perdiamo la certezza che solo noi possiamo sapere cosa è meglio per noi e cosa ci è più utile in un determinato momento. Queste interferenze apparentemente esterne si trasformano in veri e propri ostacoli al nostro interno che posso diventare insormontabili, fin tanto che non desideriamo guardarli da un altro punto di vista: quello del campione olimpico che ancor prima di sfidare il record mondiale vuole superare il suo record personale.

Mi direte giustamente che prima di arrivare lì bisogna essere un campione, o meglio che prima di cimentarsi nella sfida con sé stessi bisogna capire dove si vuole andare. Corretto! Ma una condizione è strettamente collegata all’altra e chiama a gran voce la capacità orientativa e la competenza di attivarla e usarla consapevolmente, anche per decidere se vale la pena sfidare determinati limiti.

 

“Mi era appena scaduto un contratto di lavoro che non avevo voluto rinnovare perché mi portava distante da casa. Sentivo il bisogno di conciliare meglio vita lavorativa e privata, di migliorare il mio contributo lavorativo e in più sentivo un macigno sulla testa, o meglio una palla al piede che rotolando mi diceva: “ma tu stai perseguendo il sogno della tua vita? stai dando senso al tuo scopo?” Domande che di tanto in tanto si presentavano, che riuscivo a zittire con qualche passione momentanea, cercando di essere gentile e amorevole, ma che in quel momento non mi lasciavano tregua.”

 

Non volevo rimettermi in gioco subito così ho preso al balzo l’opportunità di sperimentare un percorso di bilancio di competenze. Semplice: ho dato inizio alla scoperta del dono di sapersi orientare.

 

Una tappa del mio viaggio introspettivo, da tempo infatti ero alla ricerca di verità sulla vita, sul mondo spirituale, volendo capire ciò che tutto muove e in che modo tutto gravita. Ero arrivata ad uno stop, non potevo proseguire senza includere nei miei ragionamenti il mio sé, la mia responsabilità e la mia capacità di agire.

stop-scelta

Come ogni viaggio, emozionante e avventuroso, presenta qualche imprevisto che presuppone un mi fido, non so cosa accadrà! E così ho deciso di provare, mi sono informata sulle realtà che offrivano il servizio del bilancio delle competenze e ne ho scelta una, in base ai miei criteri di affidabilità e competenza. Pensavo di sapere cosa mi stesse aspettando, pensavo di sapere già quali erano le mie competenze, forse non mi era ben chiaro come utilizzarle, ma pensavo che un esperto potesse aiutarmi a metterle in linea e a ributtarmi nel mondo del lavoro.

 

Tutto potevo aspettarmi, tranne quello che è successo!

 

Metaforicamente sono salita su una carrozza, dotata di fogli bianchi e tante penne colorate, una prima domanda:dove vuoi andare? Raccontami il tuo sogno!”

C’era il sogno, ma da dove ero non riuscivo a tracciare minimamente il percorso, era come una visione sulla collina, ma dalla mia posizione alla collina c’era una nebbia fitta. La prima reazione è stata: forse non è il mio sogno, se fosse il mio avrei una serie di strumenti per raggiungerlo, che so una mappa dettagliata, un elicottero.

 

Poi di nuovo la carrozza: “prova ad immaginare cosa ci può essere nella nebbia, magari scopri che puoi fermarti prima”.  Allora munita di penne colorate ho iniziato a scrivere, sulle mie intuizioni e a scegliere cosa potevo lasciare alle mie spalle e cosa invece dovevo considerare una tappa. Naturalmente allenando una parte fondamentale del bagaglio da viaggio, la determinazione, la voglia di informarsi e di prendersi la responsabilità.

 

Tante tappe nelle quali la carrozza mi chiedeva: “dove vuoi andare oggi?” e finché non prendevo le penne e cominciavo a scrivere e tracciare la mappa del mio viaggio, lei non si metteva in cammino.

Alla collina non sono ancora arrivata e la carrozza mi attende ai piedi della collina per augurarmi un nuovo buon viaggio, per ricordarmi che ciò che ci serve è nel bagaglio e se ci manca qualcosa, sul cammino si può acquisirlo. La cosa importante sono quei fogli bianchi e quelle penne colorate, non è fondamentale quello che ci scriviamo noi, bensì essere consapevoli che siamo noi a scriverlo e che noi vogliamo e possiamo ottenerlo.

 

Concludo con una scoperta (per utilizzare ancora la metafora del viaggio direi quel paesaggio naturale che trovi dove non ti aspetti, che ti mozza il fiato, che ti rende consapevole della grandezza e potenza della Natura: fonte di ispirazione delle più grandi opere ingegneristiche e dei grandi pensieri filosofici):

 

il coaching è un metodo potentissimo per riattivare quei principi naturali che sono in noi! Quelle perle che da secoli il mondo spirituale, più di altri, cerca di ricordare: la conoscenza di sé (consapevolezza di dove si è e dove si vuole arrivare), la responsabilità (il libero arbitrio, le scelte) la capacità di esprimersi nel materiale (il potenziale che diviene azione), tutto ciò attraverso un processo, mosso da un principio che fa da ponte tra le diverse individualità: la fiducia e il rispetto del potenziale umano espresso attraverso l’ascolto e la coscienza che il coachee (colui che intraprende il suo viaggio) ha la capacità di orientarsi e di superarsi.

 

 

 

Di Alessia Creazzi

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