DIFFONDERE L’INTELLIGENZA ORIENTATIVA

Sto scrivendo questo articolo in un’aula insegnanti. Aspetto di iniziare il secondo intervento previsto per una seconda media. Un ultimo passaggio prima di dare spazio alle vacanze estive: un’occasione per allenare l’intelligenza orientativa. Il training di oggi vuole rafforzare la capacità di rispondere alla domanda: Chi sono oggi?

Mi piace aspettare in questo luogo. Gli insegnanti entrano ed escono. Qualcuno beve un caffè ed altri si confrontano sulle lezioni, parlano di qualche alunno.

Ascolto, curioso dei frammenti della quotidianità di chi sta in prima linea e ha un ruolo fondamentale nella crescita della Comunità Globale. Stimo tantissimo chi ha scelto la professione dell’insegnante. Chi ha iniziato nel secolo scorso e si ritrova oggi in uno spazio di apprendimento totalmente altro. Cosa direbbero i pedagogisti del passato se si ritrovassero in una aula del presente? Prendiamo Piaget che parla dell’evoluzione del bambino.

Farebbe le stesse constatazioni, oppure rileverebbe altro? La Montessori? Rousseau? O ancora Bruner: cosa penserebbe di fronte a una realtà che distrae costantemente dall’ascoltare la propria narrazione personale così da collegare e disporre in sequenze ordinate i propri vissuti?

 

Cosa direbbero se si trovassero di fronte a un gruppo di insegnanti? Quale tipo di approccio proporrebbero a chi è chiamato quotidianamente ad affrontare background culturali diversi, livelli di apprendimento diversi, certificazioni di ogni tipo, ondate di emozioni conseguenza di contesti sociali, famigliari, etnici variegati?

 

Da qui il rispetto e anche la ricerca continua per capire come dare un contributo alla Scuola di questa epoca. Entrare in classe mi permette di osservare, ascoltare, capire, sentire e poi mettere in pratica qualche strategia. Mentre i ragazzi sono dentro il flusso del processo ne approfitto per dare qualche input agli insegnanti. Non parlo di orientamento ma di ciò che sto facendo concretamente per facilitare i ragazzi nel raggiungere lo scopo delle due ore: avere più consapevolezza. In un’aula dove tutto è accelerato è piuttosto impegnativo. Mentre i ragazzi ruotano ogni quattro minuti da un’isola all’altra dico all’insegnante:

 

Vede come l’onda energetica si sta abbassando?

 

Al terzo giro i ragazzi lavorano sulla consegna semplice e alla loro portata: scegliere una fotografia, disegnarla e dire il perché. Ogni isola ha un tema per raccogliere elementi per rispondere alla domanda chi sono oggi?

Il tempo lo gestite voi, è una questione di proporre un movimento che si ripete. Di strutturare un’abitudine. Una volta che si sentono al sicuro si coinvolgono nell’apprendimento. Questo permette di incrementare la loro concentrazione.

 

Aggiungo quanto evidenziato a margine dal mio correttore di bozze per meglio chiarire la riflessione: i ragazzi non sono dei semplici esecutori di istruzioni date dall’alto, ma si attivino sulla base degli stimoli dati. Sono in grado di stare dentro ad un processo, anche quando si tratta solo di mettere in pratica delle operazioni semplici, in vista del raggiungimento di un obiettivo, obiettivi che uno dopo l’altro permettono un arricchimento e crescita degli alunni.

 

Il docente è facilitatore e strumento in grado di far funzionare il movimento della classe e non il contrario. I ragazzi vivono al meglio i processi quando si sentono parte importante e attiva, quando percepiscono il significato e la funzionalità di ciò che andranno a fare, quando si fidano e sentono e leggono fiducia negli occhi dei docenti altrimenti eseguono ma non capiscono. Il rischio è di non raggiungere alcun obiettivo oppure si chiamano fuori dal processo e fanno altro.

Poi dite: Cambio.

I ragazzi ruotano automaticamente da un’isola all’altra.

Dire “ Cambio!!” permette di lavorare su un movimento di classe coordinato. Elementi minimi che se ripetuti formano la base per orientare la formazione del Gruppo Classe.

 

Nell’aula insegnanti è arrivata la referente dell’orientamento e ne approfitto per chiederle l’indirizzo email per poterle inviare i cataloghi delle nostre proposte di Orientareoggi. Le racconto che oramai è qualche anno che proponiamo attività rivolte a insegnanti, genitori e ragazzi che hanno il fine di potenziare l’intelligenza orientativa.

Mi guarda perplessa e allora le spiego che si tratta di un costrutto molto articolato che in modo molto semplificato si può definire come risultato delle lifeskills e delle competenze di cittadinanza attiva.

 

Puntiamo l’attenzione sull’intelligenza orientativa per proporre alle Scuole una direzione: far sì che gli studenti al termine del terzo anno abbiano sviluppato una forma mentis efficace per affrontare la realtà attuale. Lo dico con umiltà: le scuole hanno bisogno di una direzione, l’insegnamento ha bisogno di ritrovare significato rispetto al proprio ruolo. L’intelligenza orientativa è un contenitore grazie al quale far ricadere già molto di ciò che gli insegnanti fanno ma, in molte occasioni ne sono inconsapevoli.

 

Spesso mancano momenti di metacognizione individuali e di gruppo che arricchiscono il senso di ciò che si fa. Ad esempio moltissime delle attività proposte da un docente di matematica sono un allenamento dell’Analysis Thinking, pensiero inserito nelle top teen delle Skills proposto dal World Economic Forum. Al di là dell’importanza che questo tipo di pensiero ha nel mondo del lavoro, l’Analysis Thinking consente di gestire con sicurezza un problema, un evento della propria vita. Che legame c’è fra mancanza nell’Analysis Thinking e presenza di Ansia?

L’Analysis Thinking è fondamentale in un processo di decision making, di problem solving e quindi di orientamento.

 

Dico alla referente:

Quest’anno un Istituto ha scelto di puntare sull’intelligenza orientativa…

E cosa ha fatto nel concreto?

Hanno scelto di sfruttare il primo anno della scuola media per rafforzare le abilità di base per orientarsi: osservare, ascoltare, condividere, gestire l’energia.

 Sì, ma nel concreto?

Hanno avuto fiducia e coraggio e sono ripartiti dalle basi provando a integrare la didattica di un linguaggio che attiva la sensorialità.

Non capisco: fammi un esempio

Uno dei problemi che spesso un’insegnante si trova a gestire è farsi ascoltare. Per avere l’attenzione spesso si attua un’escalation di emozioni che in alcuni casi culmina con una minaccia, una nota, una punizione. Attivare i sensi significa sostituire, ad esempio alcune parole come state zitti o silenzio, con verbi attivanti la sensorialità: Ascolto. All’inizio si fa fatica. Si tratta di una sostituzione culturale. Fai caso a quanti ti guardano quando sei in classe? In molte occasioni un buon 30% degli studenti fa altro mentre cerchi di spiegare. Distrazione. Orientare significa facilitare la pro-attività minima sensoriale. Quando entro in una classe che sento farraginosa nei tempi di attenzione (di solito impiego dai 3 a 5 minuti per fare un’analisi del contesto in cui mi trovo) inizio con il chiedere di osservarmi. Guardatami! Quando ho gli sguardi dico: Ascolto. Poi parlo.

 

Aggiunge il correttore di bozze: molti di questi elementi fanno capo alla pedagogia ed educazione positiva (che si combina con un ruolo insegnante autorevole e rispettato) vs un’educazione punitiva che ancora oggi è un modello applicato da molti insegnanti (sanzioni e minacce e ruolo insegnante autoritario). Che cosa può dare in più un focus sull’intelligenza orientativa? Facilitare una domanda fondamentale: cosa posso fare per cambiare le cose? Quali comportamenti e azioni alternative posso mettere in atto per ottenere comportamenti come osservazione ascolto attenzione collaborazione? Il valore aggiunto di questo approccio è che attiva la sensorialità non solo nei ragazzi ma anche nei docenti. L’intelligenza orientativa innesca la pro-attività così da recuperare l’uso dei sensi di cui si è teorizzato molto. La storia della scuola ne è piena: Froebel, Decroly, Dewey.

 

E tutto questo ha a che fare con l’orientamento?

Con l’intelligenza orientativa. La si allena ad osservare, ad ascoltare l’ambiente in cui ci si trova. L’energia psico-emotiva che produce un adolescente a volte lo porta ad essere altrove rispetto allo spazio reale. Così vanno riconnessi e facilitati perché diventino più consapevoli, sentano il dialogo interiore, si mettano in gioco.

 

Suona la campanella. Spengo il pc e lo infilo veloce nello zaino.

 

È stato un piacere. Ti mando il tutto e aspetto tue news.  

 

Mentre attraverso il corridoio riesamino il dialogo appena avuto. A volte temo che la semplicità della soluzione che propongo cada nel vuoto. È una questione di convinzioni e di esperienze in cui verificarle. La fiducia poi cresce, ma serve sempre quel coraggio iniziale per suonare la prima nota. E il coraggio arriva dalla pancia. Manipolare la propria identità può risultare doloroso. Nello scolpire sé stessi alcuni pezzi di marmo bianco cadono a terra con un secco panf ma è l’unico modo perché la scultura prenda nuova forma.

 

 

 

 

Di Massimo Ravasi

 

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