CULTURA e CULTURE … ORIENTATIVE

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“Noi tutti dovremmo sapere che la diversità fa parte di un ricco arazzo, e dobbiamo capire che tutti i fili della trama hanno un uguale valore, non importa quale sia il loro colore” Maya Angelou

 

L’idea di scrivere un articolo sulla cultura, nasce da ciò che con Orientare Oggi stiamo provando a diffondere: una cultura orientativa.

 

Ma cos’è una cultura?

 

Andando all’origine del termine è interessante notare come Cultura, in latino, significa “coltivazione della terra” e deriva dal verbo còlere, “coltivare”. Coltivare qualcosa significa prendersene cura, còlere veniva usato dai Romani anche per indicare l’atto di ornare il corpo o quello di venerare una divinità. È in questo ambito di significati che prese forma il concetto antico di cultura. Fu Cicerone a parlare di cultura animi ‒ alla lettera, di “coltivazione dello spirito” ‒ come dell’obiettivo principale della filosofia e, in generale, dell’educazione. Come un terreno richiede una cura assidua per esplicare le proprie potenzialità, cioè per dare frutti, così l’individuo deve coltivare il proprio animo se vuole esprimere al meglio le proprie capacità.”

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Il concetto espresso nell’antichità da Cicerone viene ripreso nella più moderna psicologia da Epstein e Grave. I due psicologi evidenziano come, in ogni cultura ci siano, oltre a bisogni fisiologici, quattro bisogni psicologici di base: il bisogno di relazioni stabili, quello di sperimentare competenze, di provare piacere e di aumentare l’autostima.

 

La necessità di coltivare il proprio animo come un giardino, per vederlo fiorire in tutto il suo splendore è quindi, trasversale a tutte le Persone. Persone che incrociamo e che provengono da paesi e nazioni diverse. E quindi, da giardini coltivati in modo differente.

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Indossare occhiali con lenti che guardano alla loro integrazione nel mercato del lavoro italiano credo sia profondamente attuale. I flussi migratori sempre più consistente pongono la necessità di sviluppare una cultura orientativa sensibile anche a chi, potenzialmente, può arricchire la nostra terra.

 

Le lenti di questi occhiali non possono prescindere da due focus:

 

  • L’interculturalità e la decodifica di comportamenti attesi sui luoghi di lavoro
  • Il sistema delle soft skills possedute dai migranti

 

Per quanto riguarda il primo aspetto credo sia centrale, quando si comincia un percorso con chi arriva da un paese lontano, chiedersi qual è la valigia di valori e linguaggi iconici con cui viaggia.

 

Infatti, le classificazioni e le declinazioni delle competenze che utilizziamo sono fatte su misura rispetto al nostro modo di pensare, al nostro sistema valoriale ed al nostro sistema rappresentativo della realtà.

 

Il secondo aspetto è interessante in relazione alle immagini, alle volte stereotipate, dei soggetti migranti. Partendo da stereotipi positivi, si può dare per scontato l’acquisizione, da parte dei migranti, di abilità che esistono “in potenza”, ma che per varie ragioni possono essere state inibite. Le esperienze di spostamento, cambio paese, incrocio con la diversità, può essere sicuramente un’occasione di apprendimento. E’ altrettanto vero, però, che alcuni drammi, alcuni vissuti possono aver sopito l’espressione di alcune capacità, o aver congelato gli apprendimenti che le esperienze possono aver regalato.

 

Ecco allora che coltivare questi giardini diventa occasione per fare quello che può essere chiamato un bilancio migratorio. Significa scaldare i rami congelati per rinvigorirli, significa potare quelli secchi e condividere lenti di osservazione, che vanno oltre la nostra rappresentazione della realtà.

La sfida di creare una cultura orientativa, si prospetta, in questo caso, su due dimensioni:

 

  • L’empowerment individuale
  • La contestualizzazione delle risorse

 

Il ritmo del cambiamento economico spinge a porre attenzione nei confronti di come lo sviluppo ed il potenziamento delle competenze per essere integrati sia rilevante. Per la maggior parte dei migranti non-UE è ancora difficile farle emergere a causa di poca auto-consapevolezza nel possederle, difficoltà a decodificarle in base ai nostri codici culturali o per processi di inibizione che ne impediscono l’emersione. Quando si avvia un processo di empowerment è quindi importante prendere in considerazione tre tipi di competenze:

 

  • le soft skills: legate alla dimensione della comunicazione, della socialità, dell’adattabilità e dell’organizzazione, dello spirito d’iniziativa
  • le skills trasversali professionali: correlate alla specialità di un lavoro e sono facilmente trasferibili in un altro ambito, come ad esempio la comunicazione interculturale e il project managment
  • le hard skills trasferibili: necessarie per svolgere un determinato tipo di lavoro ma che sono trasferibili con un poco investimento

 

 

Far emergere, dalla storia scolastica, personale e professionale di persone migranti queste potenzialità è un lavoro per giardinieri pazienti e tenaci, appassionati alla multiculturalità e … alla moda di cambiare occhiali! Tuttavia, permette di lavorare sul self – development, sull’auto – efficacia e di conseguenza sull’agency.

 

E’ il primo passo per accompagnare nell’orientare l’ago della bussola all’interno di un nuovo giardino e facilitare la coltivazione di un nuovo terreno. Da qui l’importanza di lavorare sulla seconda dimensione all’interno di un bilancio migratorio.

 

La condivisione di informazioni riguardanti il mercato del lavoro presente sul territorio, piuttosto che il contatto e le relazioni con le realtà produttive sono fondamentali per permettere una contestualizzazione mirata delle risorse presenti.

 

Questo, credo sia un passaggio delicato ma affascinante. Infatti, significa intrecciare fili tra chi arriva e chi è già presente nel giardino, significa prestare “occhiali alla moda” e scoprire come l’integrazione sia un fertilizzante potente per la crescita di giardini rigogliosi.

 

 

 

Di Sara Marchiori

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