“Senza fatica non c’è premio, e senza profondità non c’è anima” Baricco
Parlare di fatica in questi tempi è demodè. Parliamo di ansia, di “non ce la faccio più”, di stress. Meno di fatica. Ricollocare questa parola nel vocabolario è un esperimento interessante, perché permette di localizzare il fenomeno all’interno di un processo meta cognitivo diverso e di cambiare la prospettiva.
La gestione della fatica è allenabile e come tale può accompagnarci all’interno di un processo di sviluppo personale.
Spesso incontro persone che, davanti alla fatica lasciano andare, “è troppo” affermano.
Ma cos’è la fatica?
Partiamo dalla sua etimologia che ci racconta come “Fatica deriva da fatis legato al verbo fatisco. Il significato è sorprendente, ma non troppo: aprirsi, fendersi, screpolarsi. Quindi fatis è crepa. Per questo in ingegneria, nel campo della tecnologia dei materiali, il punto di fatica è il danneggiamento progressivo seguito da rottura, apertura.”

Primo indicatore orientativo: la fatica implica apertura, punto di rottura per lavorare su nuove rotte. Quindi è spazio bianco su cui si può cominciare a riscrivere storie e futuri desiderabili e possibili. Orientativamente parlando, la fatica ci guida al potenziamento della creatività: nel momento in cui osservo la crepa e mi apro alle diverse possibilità, posso dare voce e costruire versioni di me che fino a quel momento non avevo visto per la nebbia che spesso, la fatica fa salire.

E dal punto di vista fisico? Cos’è la fatica?
Siamo abituati a pensare alla fatica come dato oggettivo. La sensazione di fatica è la costruzione di dati che raccogliamo intanto che viviamo un’esperienza. E’ il frutto di una serie di interpretazioni eseguite da puri dati sensoriali che presi singolarmente non avrebbero nessun senso. “Il nostro cervello assembla una miriade di dati provenienti dalle fibre muscolari, dal tasso di alcuni substrati nel sangue e nel cervello, dalla frequenza del battito cardiaco, dal livello di alcuni gas durante gli scambi respiratori; prende tutto ciò e lo miscela, dando origine ad una sensazione finale che arriva in coscienza come dato unitario “Non ce la faccio più!”, “Non ho più energia!”[1]
[1] P. Trabucchi, “Resisto dunque sono”, Corbaccio
Secondo indicatore orientativo: la fatica è un cocktail di messaggi che il corpo ci rimanda e che combinato ci fa provare sensazioni più o meno positive. Il legame con le emozioni è visibile: le emozioni sono chimica, sono stringhe neuro peptidiche che circolano all’interno del nostro corpo e ci inviano messaggi che sta a noi cogliere e significare.

Digressione emotiva con domande:
– Quando provi rabbia prova a chiederti: che cosa mi sta bloccando la strada?
– Quando provi paura prova a chiederti: cos’è che è a rischio?
– Quando provi tristezza prova a chiederti: che cosa sto perdendo che è a me caro?
– Quando provi gioia prova a chiederti: cosa voglio mantenere?
– Quando provi fatica prova a chiederti: quale parte di me sto potenziando?
In questo modo la fatica cambia la sua forma. Come altri dati, la fatica è un messaggio fisico e psicologico che il corpo, come macchina perfetta ci sta inviando.
E dal punto di vista psicologico?
Gli effetti fisiologici legati alla lettura dei messaggi rappresentanti del corpo, non sono oggettivi. Vengono decodificati in relazione all’interpretazione della situazione. L’interpretazione e la valutazione cognitiva che diamo modifica il funzionamento biochimico e la qualità delle sensazioni che proviamo. Da questo punto di vista, la valutazione cognitiva entra in maniera preponderante all’interno della riflessione sulla fatica.
Proviamo a sostituire per un attimo la parola fatica con la parola sforzo: capacità di non farsi distogliere dal perseguimento delle proprie mete. Lo sforzo sostenibile è la capacità di canalizzare l’energia e l’attenzione in direzione di un obiettivo facendo prevalere una linea d’azione piuttosto che un’altra.

Lo sforzo può essere interno ed esterno. Lo sforzo esterno, spesso viene vissuto come una costrizione (se vivi lo sforzo e la fatica come elemento esterni … rileggi il secondo indicatore orientativo … altrimenti procedi!).
Se ti metti in ascolto attivo rispetto alla tua voce interna, invece, scoprirai che lo sforzo può essere anche interno. E’ quella voce che ti invita gentilmente a proseguire perché dentro quella fatica c’è un margine di allenamento, di potenziale di te ancora inespresso. In questo momento, lo sforzo diventa un supporto interno, un tuo personalissimo fan che ti incoraggia e ti accompagna nelle sfide.
Terzo indicatore orientativo: quali frasi/mantra senti dentro di te nel momento in cui la fatica si fa viva e che ti sospingono come il vento con le vele di una nave?

Risveglia i tuoi sensi interni: ascolta attivamente ed osserva i segnali. Raccogli i pensieri ed analizzali, potando quelli meno interessanti per la gestione di messaggi che ti risultano scomodi.
Il tutto ti permetterà di allenare la flessibilità cognitiva e di vivere la fatica in modo resiliente.
Come si sviluppa la resilienza?
“Se ce la metto tutta, non posso perdere. Forse non vincerò una medaglia d’oro, ma sicuramente vinco la mia battaglia personale. E’ tutto qui” afferma Thorpe, pluricampione olimpico.
Impegno. La convinzione di riuscire, la valutazione cognitiva che ce la posso fare creano un circolo virtuoso: se attivo il secondo ed il terzo indicatore orientativo e penso che il risultato, in parte, dipende da me, mi impegnerò a trasformare le sensazioni in comportamenti concreti che mi porteranno a risultati. Tolgo così una barriera mentale e mi impegno gestendo la fatica delle sfide.

Locus of control. Questo porta il senso di controllo dentro di me e potenzia la mia auto efficacia. Sentire di poter dirigere la propria nave aumenta, a livello chimico, la dopamina e la serotonina. Ormoni rispettivamente della felicità e del benessere. Questo ci spinge ad essere proattivi nei confronti delle sfide e ad esplorare il mondo con senso di protagonismo e smonta, almeno in parte, la sensazione di impossibilità.
Saper incassare e perseverare. La frustrazione è legata alla delusione di aspettative. Il sistema di attese regola la capacità di sopportare disagio e fatica fisica e psicologica. Quali aspettative hai nei confronti degli eventi che ti accadono? Saperli rileggere e rivalutare diventa la chiave per poterli gestire e sfruttare in maniera strategica.

Il nesso tra fatica e resilienza, credo stia in un’altra parola demodè: pazienza.
La pazienza non è statica. La pazienza è una modalità dinamica ed operativa che si attiva nel momento in cui costruisci tassello dopo tassello il mosaico della tua vita. E’ quel modus operandi che ti tiene vigile nei confronti della gestione del tempo, del tuo tempo. Come un muscolo va allenata e consente salti dimensionali nei confronti della propria consapevolezza personale, per affrontare con fatica le sfide che scegliamo di porci tutti i giorni.