AUTODETERMINAZIONE: PRINCIPIO LIBERATORIO di POTENZIALE

Lavorare con le persone è interessante. La molteplicità di identità che si incontrano è ciò che mi affascina di questo lavoro. Nel corso del tempo, la mia curiosità nei confronti di colori, interessi, valori e credenze che le persone mi portano, è aumentata e mi sono trovata spesso a chiedermi: “perché non può essere anche così?”, sebbene all’interno suonassero note stonate e profumi non sempre gradevoli.

In fondo, il mondo è bello perché è vario, mi hanno sempre insegnato.

Questa curiosità, negli ultimi mesi, mi ha portata spesso a riflettere sul concetto di autodeterminazione. In particolare, dopo l’ascolto di un podcast sullo stile montessoriano ed una discussione interessante con un collega, mi sono chiesta come questo concetto sia cambiato e si sia evoluto.

Della discussione, mi ha colpito un’affermazione “l’autodeterminazione non è fare quello che si vuole, come la intendono tanti adolescenti.”

Allert: capisco che fuori contesto suona come giudizio, ma garantisco che non è così. A me ha fornito solo l’occasione per fermarmi un po’ ed osservare.

 

Dal punto di vista filosofico

La passione per la filosofia mi è stata trasmessa da diversi insegnanti. Come quella in storia, per l’illuminismo. Mettendo insieme Kant e il periodo storico, dove, l’autodeterminazione fiorisce rigogliosa, nasce questa famosa descrizione: “illuminismo è la liberazione dell’uomo dallo stato volontario di minorità intellettuale che è l’incapacità di servirsi dell’intelletto senza la guida d’un altro; questa minorità è volontaria quando la causa non sta nella mancanza d’intelletto, ma nella mancanza di decisione e di coraggio nel farne uso senza la guida di altri. Sapere aude! Abbi il coraggio di servirti del tuo proprio intelletto”. Definizione concettuale precisa e puntuale di autodeterminazione, che si collega in maniera profonda all’intelligenza orientativa.

Prima riflessione e domanda orientativa: ad oggi, in che percentuale stiamo lavorando con i giovani e i meno giovani sul “coraggio di fare uso dell’intelletto senza la guida di altri?”.

 

Le skills maggiormente richieste dal mercato del lavoro sono: spirito critico, pensiero analitico e creatività. Tutte abilità che richiedono coraggio e decisione nel prendersi la responsabilità di allargare le connessioni neuronali. Una delle indicazioni del MIUR è quella, nelle ore di orientamento, di allenare l’abilità di apprendere ad apprendere: anche in questo caso “l’uso autonomo dell’intelletto” è caldamente consigliato, per potenziare e valorizzare la propria identità.

 

Quali strategie, quindi, per adoperarsi e far si che la definizione illuminista e kantiana di autodeterminazione possa realizzarsi, in un contesto complesso e dove la “società della comunicazione” sembra giocare una partita senza avversari?

 

Le risposte, almeno in parte, ci vengono fornite da Mill e Dworkin.

 

Mill arricchisce il concetto di autodeterminazione con una sfumatura interessante. Il filosofo mette luce sulla connessione con il sistema di riferimento in cui gli individui agiscono.

L’affermazione “il solo scopo per cui si può legittimamente esercitare un potere su qualunque membro di una comunità civilizzata, contro la sua volontà, è per evitare danno agli altri”, evidenzia come l’autodeterminazione preveda l’inserimento all’interno di un contesto e di un sistema.

 

Viviamo in contesti dove le connessioni relazionali sono centrali. La rete che ci unisce può essere una risorsa che permette a ciascuno di sviluppare capacità ed abilità, accumulare risorse emotive, motivazionali e cognitive, costruire la propria identità e i propri progetti di vita. Intrecciamo costantemente relazioni che ci supportano nello sviluppo o meno del nostro design personale ed orientano le nostre scelte.

 

Possiamo quindi parlare di “autodeterminazione relazionale” per indicare quella prospettiva che ritiene prioritaria, la capacità individuale di autodeterminarsi, ma riconosce che, lo spazio formale garantito da diritti e norme può riempirsi di contenuti significativi grazie alle relazioni. Siamo persone situate in una rete relazionale, dotati delle risorse sentimentali per preoccuparci della sofferenza e della vulnerabilità altrui, capaci di pensare a possibilità di vita che si traducono in atteggiamenti di cura significativi.

Il proprio disegno, l’espressione di sé, abita in un teatro in cui, gli attori che si interfacciano hanno trame diverse che possono arricchirsi, come scontrarsi. L’autodeterminazione, con l’apertura di Mill a questo teatro, diventa un concetto multi prospettico ed affascinante.

 

Seconda riflessione e domanda orientativa: ci stiamo quindi dicendo che per orientarsi dobbiamo prendere in considerazione il contesto, le norme e i diritti che lo regolano? In che termini il confronto può supportarci nella costruzione pro attiva della nostra identità? Ma soprattutto: quali strategie adottare per far germogliare il conflitto nella sua etimologia latina “cum fliggere”, andare incontro?

 

Da che è storia, l’uomo è strategico e territoriale. Andare incontro alla diversità di colore, storia, valori, interessi, credenze, può suscitare paura e disincanto, timore e curiosità, invidia ed entusiasmo. Partire dal riconoscimento di queste emozioni e cominciare a parlarne è un primo tassello per renderci consapevoli e responsabili verso le scelte di contesto che facciamo.

 

Allert: dopo il riconoscimento c’è la gestione e il viaggio verso l’eccellenza (non perfezione), verso la migliore versione del chi siamo, per contribuire al mondo in cui decidiamo di vivere. Ma questa è un’altra storia, in parte narrata da Dworkin.

Il filosofo Ronald Dworkin distingue tra gli interessi di esperienza (o “volizionali”), preferenze e gusti personali la cui soddisfazione rende una vita più piacevole per chi la vive, e gli interessi “critici”, che concorrono a definire ciò che rende la vita degna di essere vissuta. Mentre frustrare i primi non intacca il valore della vita, rispettare o non rispettare i secondi significa votare al successo o al fallimento i piani di vita e l’identità stessa della persona.

Terza riflessione e domanda orientativa: quanto questa distinzione è sentita nella società contemporanea? In che termini si snoda tra giovani e meno giovani?

Si sa, le sfumature sono complesse, sia da osservare che da analizzare. In una società che corre e si rincorre, rallentare e comprendere quali esperienze ci rendono soddisfatti e quali valori ci portano a rendere la vita degna di essere vissuta, non sembra essere di moda. Anche perché, il secondo tema implica lo spostare un po’ più in profondità la lente d’ingrandimento.

 

Autoconsapevolezza, Sistemi e Valori tre parole chiave che danno una definizione diversa da quella illuministica di autodeterminazione e che più o meno potrebbe suonare così: auto-determinarsi significa auto-governarsi in modo responsabile, secondo un complesso di valori, interessi, preferenze che, non è il patrimonio di un soggetto chiuso, ma è aperto al confronto e alla relazione.

Implica sicuramente coraggio e decisione. Implica avere un potere liberatorio rispetto al proprio potenziale, ma anche, la profonda gentilezza di trasmetterlo all’interno del proprio sistema, con rispetto e fiducia.

 

 

Di Sara Marchiori

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