ORIENTAMENTO ALLA FELICITA’: E’ UN PROBLEMA

“Si faccia una vita interiore, di studio, di affetti, che non siano soltanto di “arrivare”, ma di “essere”, e vedrà che la vita avrà un significato. Cesare Pavese

Qualche tempo fa mi sono imbattuta in un testo all’interno del quale un capitolo si intitola: La felicità è un problema.

Come orientatrice, ne sono rimasta colpita. Il valore che mi spinge a mettermi in gioco in questo ambito è quello della sfida e della convinzione che ognuno di noi possa trovare la sua dimensione di felicità. E soprattutto che le persone felici rendono il mondo un posto migliore. Utopia? Può essere, ma si sa, ognuno ha la sua visione di mondo e di felicità.

 

Intanto che scrivo, una persona a me molto cara sta cercando una nuova strada professionale, un nuovo equilibrio, una nuova felicità. Proprio in questo momento sta risolvendo un problema: superare un colloquio e germogliare in un nuovo profilo professionale.

CHE COS’E’ UN PROBLEMA?

Dal corriere della sera “In matematica e in altre scienze, domanda con cui si chiede di trovare, sulla base di dati noti ed enunciati, dati non noti, logicamente deducibili dai primi;

Questione, situazione, caso difficile da risolvere e che genera preoccupazione”.

Approfondiamo: cosa sono i dati noti? Si sa le parole hanno un significato: e se invece di “dati noti” le chiamassimo informazioni, o in maniera più orientativa attitudini personali, caratteristiche, emozioni? Dati ignoti … Il mio correttore di bozze mi manda un segnale “la finestra di Johary suggerisce che i dati ignoti siano legati a quelle parti di noi che gli altri vedono e che noi non riconosciamo. I cosiddetti feedback”.

La definizione di problema prende una forma diversa. E se fosse come un insieme di mattoncini di lego (informazioni, percezioni, caratteristiche) che possono essere costruiti e ricostruiti a seconda della propria percezione, dei propri bisogni di vita del momento? E se fosse come un insieme di fotografie sparpagliate su un tavolo che chiedono di essere disposte in un album fotografico, nell’ordine che più sentiamo vicino a noi nel qui ed ora?

 

La seconda parte della definizione è più impegnativa: suggerisce un’emozione connessa al problema. La preoccupazione. Ma siamo davvero sicuri che sia la prevalente? Potrebbero esserci sensazioni diverse connesse alla parola problema: entusiasmo? Fiducia? Speranza?

 

La percezione cambia. E credo che la variabile più interessante sia quanto mi sento efficace rispetto alla sfida?

COME POSSO AFFRONTARE LA SFIDA?

Le mie sfide preferite sono quelle di persone che stanno cercando una nuova versione di sé personale o professionale che sia. E’ un problema legato al cambiamento, è un problema legato alla camaleonticità della vita di ognuno. Spaventa. Sentirsi diversi ci porta fuori da una zona di comfort. Fuori da schemi conosciuti e riconosciuti. E può essere un problema.

 

Proviamo a giocare con le parole: può essere una nuova sfida di design.

 

In particolare nel post pandemia, le sfide di design orientativo non siano più solo sul fare un lavoro diverso, ma su far emergere un’unicità diversa che, com’è fisiologico cambia con il tempo. Il fenomeno delle grandi dimissioni ha messo in luce come le persone abbiano voglia di essere, non solo di fare.

1° step: osservare, riconoscere e dare un nome diverso a questo nuovo stato dell’essere.

 

2° step: avere il coraggio di sparpagliare le foto o i mattoncini di lego sul tavolo. Tutti? Punto delicato per un’orientatrice. Mia nonna diceva “ogni cosa ha un suo tempo”. Quando incrocio persone con cui faccio del design ed arrivo a questo punto, sta diventando il mio mantra. Le foto ed i mattoncini che le persone sentono di voler guardare, prendere in considerazione ed analizzare. E’ affascinante scoprire come durante le sessioni i lego/le fotografie aumentano, o diminuiscono. Questo movimento per me, è un regalo. Ogni volta. E’ quella magia che mi apre spiragli, più o meno ampi, di immaginazione.

 

3° step: L’ARTE DI ESSERE FRAGILI

Fantasia o immaginazione. “La prima è di pochi, la seconda è di tutti quelli che la coltivano ed è uno strumento di vita, come l’acqua per un seme. Mentre però i bambini mescolano l’immaginazione con la fantasia, gli artisti sanno distinguerle ed attingono più all’immaginazione, che è semplicemente un modo di guardare con attenzione, usando appieno i sensi: il contadino che vede la rosa nel seme ha immaginazione, non fantasia. L’immaginazione non è altro che continuare il profilo nascosto delle cose verso un loro compimento, a forza di considerarle con calma attraverso i cinque sensi. Non è fuga dal reale, ma piena immersione e penetrazione del reale”[1].

 

[1] A. D’Avenia, “L’arte di essere fragili. Come Leopardi può salvarti la vita”, Mondadori, 2016

Orientare è fare dell’arte. E’ condividere con le persone fotografie e pezzi di lego e giocare con i profili. Si dice che il gioco è una cosa seria: cosa c’è di più serio che immaginare la propria unicità e costruirla? Cosa c’è di più profondo che giocare con le forme, con i colori, con i suoni che abbiamo dentro ed esplorare, in un viaggio infinito, le meraviglie che siamo?

 

Ed il continuo processo di essere unico e nuovo è una spirale che l’orientatore può svelare affinché i viaggiatori prendano confidenza e sviluppino senso di competenza ed autoefficacia per reiterarlo con l’andare del tempo. Perché si sa: l’unica constante nella vita è il cambiamento.

 

DI – SEGNARE FUTURI

L’osservazione del divenire delle risorse interne, il sentire il profumo delle rose che sbocciano da piccoli semi e l’abilità di gestire il processo di rivelazione: questi sono i segni che l’orientatore può lasciare all’interno delle sessioni.

 

Segni delicati che, credo, portino l’orientamento alla sua origine: scegliere dove andare con consapevolezza, libertà e felicità.

 

 

 

Di Sara Marchiori

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