CATALOGHI: VOLI ORIENTATIVI

Maggio è tempo di promozione delle attività di orientamento che si propongono alle scuole. Quest’anno è un anno di passaggio. Le direttive del PNRR prevedono infatti di “rafforzare il raccordo tra primo e secondo ciclo di istruzione e formazione, per consentire una scelta consapevole e ponderata a studentesse e studenti che valorizzi i loro talenti e le loro potenzialità; contrastare la dispersione scolastica; favorire l’accesso all’istruzione terziaria.

Il nuovo orientamento deve garantire un processo di apprendimento e formazione permanente, destinato ad accompagnare un intero progetto di vita…” e per fare tutto questo “Ogni istituzione scolastica e formativa individua i docenti di classe delle Scuole secondarie di I e II grado, chiamati a svolgere la funzione “tutor” di gruppi di studenti, in un dialogo costante con lo studente, la sua famiglia e i colleghi, svolgendo due attività: aiutare ogni studente a rivedere le parti fondamentali che contraddistinguono ogni E-Portfolio personale; costituirsi “consigliere” delle famiglie, nei momenti di scelta dei percorsi formativi e/o delle prospettive professionali”.

Le azioni previste fanno ipotizzare che l’intento sia che la scuola assuma in toto la responsabilità di occuparsi dell’orientamento evitando di far ricorso a figure professionali esterne. Il pericolo è veramente reale.

 

La preoccupazione è che dopo anni in cui si investe nell’orientamento si perda l’opportunità di dare un contributo alla crescita e al potenziamento della capacità di orientarsi e decidere delle nuove generazioni.

 

Faccio un conto approssimativo: in più di 12 anni di attività ho incrociato più di 5.000 adolescenti e preadolescenti. Numeri che trasformati in ore di pensiero e di azioni orientative si triplicano o quadruplicano. In alcune occasioni i numeri possono diventare un criterio per certificare la qualità di un servizio. Tuttavia non vanno assolutizzati e necessitano di essere valorizzati grazie ad altri item in grado di dimostrare l’effetto a cui porta un determinato percorso.

 

In tutti i modi sono un buon punto di partenza.  

Ad esempio per diventare un pilota comandante di un areo passeggeri occorre aver accumulato 15.000 ore di volo. Troppe? Dal mio punto di vista personale, visto che si tratta della sicurezza personale di molte persone, è una cifra sufficiente. In questo come in molti altri casi si stipula un atto di fiducia informale, non detto, riassunto nella frase: “la mia vita è nelle tue mani, prenditene cura”.

 

Nel caso specifico del volo questo patto dura da quando si sale sull’aereo fino al momento in cui si sente tremare per qualche secondo la carlinga e lo stridio delle ruote in fase di atterraggio.

A questo proposito: cosa fa un orientatore?

 

Accompagna, trasporta da una dimensione psico-emo-agire a un’altra.

 

Nell’accompagnamento del processo di scelta (si facilita un volo investigativo dall’interno a uno esplorativo verso l’esterno. Lo scopo è che la persona viva pienamente il processo decisionale. L’atterraggio è sempre e comunque il momento più delicato. Questo non esclude perturbazioni di diversa natura durante la navigazione. L’orientatore è sempre a fianco del pilota. Il suo compito?

Attivare l’osservazione, l’ascolto, l’analisi, il sentire

perché il pilota trovi, definisca, scelga il suo punto di atterraggio.

Scegliere una destinazione implica essere in grado di affrontare anche l’incertezza del volo.

 

L’orientatore supporta il pilota perché recuperi quelle risorse personali di cui avrà bisogno durante il viaggio e ne sia consapevole. L’orientatore chiede al pilota perché sia così importante quel viaggio.

 

Nel momento in cui il pilota esplicita la risposta diventa più sicuro delle manovre che sarà chiamato a mettere in atto. L’orientatore porta il pilota a coinvolgersi nel viaggio di apprendimento che sta compiendo e a scoprire il suo potenziale.  L’orientatore allena il pilota perché diventi conscio di essere un tutt’uno con quell’aereo.

La metafora del volo ha solo la finalità di sottolineare come un processo orientativo sia qualcosa di molto complesso.

 

Qualcuno potrebbe sostenere che “molti ragazzi diventano grandi anche senza aver incontrato un orientatore, che imparano a scegliere anche senza dedicare del tempo al processo decisionale, che raggiungono i loro obiettivi anche senza riflettere a lungo su ciò che vogliono o desiderano nel mondo”. Eppure in questa fase storica una persona che scopre e rafforza la propria intelligenza orientativa può avere una marcia in più e riuscire ad esprimere pienamente sé stessa. Il nostro mondo è sempre più ricco di opportunità che aspettano solo di essere cercate.

 

Come ha sottolineato il mio correttore di bozze: “ Il problema spesso risiede nell’ avere o meno sviluppate questa capacità”. Nella quotidianità scolastica è possibile promuovere questo tipo di allenamento?

 

 

  • Sì, se la didattica diventa una pratica orientativa che genera una forma mentis efficace nel muoversi in una realtà complessa, caotica e complicata.

 

 

  • Sì se a questo approccio metodologico si affiancano interventi di training specifici che immergono i ragazzi in una dimensione ad alto nutrimento orientativo.

 

 

  • Sì se questo tipo di cultura viene condiviso con le famiglie, sottolineando come apprendere non significhi essere il più bravo, ma sviluppare un pensiero critico cioè essere capaci di connettere e integrare le conoscenze, di leggere la realtà e di sentirsi pronti a contribuire al sistema.

 

 

 

I cataloghi che proponiamo alle scuole vanno in questa direzione. Uno per gli insegnanti, uno per gli studenti ed uno per le famiglie.

Una triangolazione che se alimentata può portare a condividere un modo efficace di orientarsi e trovare la propria strada.

In una fase di transizione storica come quella attuale, il problema da affrontare è di tipo sistemico. Per questo occorre promuovere un cambiamento culturale che introduca nuove antiche conoscenze che l’uomo ha sempre posseduto in forma naturale, inconscia e istintiva.

 

Una sorta di potere che, in molti casi ha smarrito a causa del continuo fare, della crescente confusione globale, del rincorrere un benessere solo materiale. Le ore di orientamento?

 

Possono essere un’occasione per riportare al centro il dialogo interiore, il riconoscimento di altro da sé, la gratificazione che deriva dal partecipare a un Noi.

 

Passaggi di crescita che andrebbero sempre mantenuti attivi per raggiungere uno stato di eccellenza, grazie al quale si è presenti.

 

 

 

Di Massimo Ravasi

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