PRIMAVERA: TEMPO DI SEMINA ORIENTATIVA

“I pensieri e le parole che pronunciamo hanno un potere incredibile, iniziano da noi e tornano sotto forma di esperienza”

 

L. Hay

Citazione azzeccata per il nuovo tempo che sta per cominciare. Le citazioni ci possono offrire cartelli orientativi da cui partire per orientarci. Quindi, perché non partire dal potere delle parole e rifletterci, visto l’arrivo della primavera?

 

Tempo di preparazione del terreno, l’etimologia della parola primavera non è facile da ricostruire, perché in essa ci sono influenze antichissimeben anteriori al latino. Come molte parole che oggi usiamo è formata da più termini: in questo caso sono due. Uno è “prima”, la cui origine è più facile da ricostruire: il latino “primus”. Il secondo termine, che forma la seconda parte della parola (“vera”), ha radici indoeuropee.

 

Secondo quanto ci dicono alcuni dizionari etimologici, verrebbe dalla radice sanscrita -Vas, che è presente ancora oggi, sebbene un po’ cambiata, in molte lingue del continente Eurasiatico. Questa parola significa “ardere”, “splendere”. Del resto, anche nel latino, ritroviamo il termine “vesta”, che era il nome della dea del focolare domestico, fuoco sempre acceso e tenuto vivo.

Secondo questa ipotesi etimologica, la parola primavera ci parla allo stesso tempo di un inizio, e di qualcosa di splendente e pieno di ardore. Potrebbe essere il termine che indica l’inizio di un periodo caratterizzato dallo splendore e dalla esuberanza della natura, che si risveglia. Che potenza le parole! All’interno della professione di orientatrice e di coach diventano l’humus che facilita il riaccendere e lo splendere delle persone che incrocio.

 

Proprio come in primavera si prepara il campo e si smuove la parte più attiva, l’humus appunto. Come orientatrice, le parole sono quella “sostanza organica con proprietà chimiche e fisiche” che possono far germinare e germogliare talenti e potenziali.

 

Siccome mi piace giocare con le parole, alla parola humus è interconnessa fortemente la parola umiltà. Smuovere i terreni delle persone, con sostanze organiche (le parole), implica, di fondo, un alto grado di umiltà. Riassumo il concetto in un’immagine per me, molto evocativa.

Quello che possiamo coltivare è ciò che ci dice la persona che ci siede di fronte. Ma pensiamoci, quante parole e quante volte ci riferiamo a qualcuno o a qualche situazione con una reale cognizione di causa? In fondo, noi sappiamo solo un microscopico frammento dell’organicità, della chimica di cui è composta la persona, l’ambiente e le relazioni in cui gioca la sua vita. E’ il regalo delle parole che ci fa. Tutto il resto rimane ignoto. Come nel quadrante della finestra di Johary!

 

… riflessioni che germinavano ed hanno preso forza e consapevolezza dopo una giornata di formazione milanese … Sento proprio il mio terreno in primavera e mai come questa mattina il “so di non sapere” socratico, mi sembra la magnifica zolla di terra che potenzia il mio lavoro.

 

La sensazione è di un profondo rispetto, ma anche di energica curiosità. Se sento consapevolezza rispetto al “so di non sapere” posso avvicinarmi in modo diverso alle persone. Posso accogliere meglio le parti che mi regalano … proprio perché sono un dono, un presente. Un qui ed ora che, mi danno la possibilità di osservare.

 

Come perdere l’occasione di usare uno degli strumenti più potenti (allert: non esistono domande potenti!) che la maieutica ci ha regalato? Le domande.

Da sempre, particolarmente curiosa, le uso e le ho usate. Raramente, con consapevolezza rispetto alla loro forza ed al loro potere. Le domande, siano esse chiuse, aperte, multiple, neutre, focalizzate, sono un po’ come la vanga, il rastrello, la zappa, l’annaffiatoio del contadino.

 

Usarle con consapevolezza implica attivare dentro di sè un processo per cui gestisci quel tempo tra le parole che ti arrivano e quelle che vuoi dire.

 

Oggi le immagini mi prendono:

La domanda permette di stare in quello spazio di libertà che come orientatrice e coach ho nella scelta di quale zolla toccare, quale seme innaffiare e quale invece, lasciare ad aspettare.

 

La delicatezza di quello spazio è come il germoglio di una rosa che sta sbocciando, fragile, delicato ed allo stesso potente e meraviglioso. Quando sono in sessione, ci sono momenti in cui quello spazio diventa visibile, si percepisce: spesso, si tratta di momenti di silenzio carichi di significato e sai che è lì, sai che è spuntata la luna giusta per far attecchire quel seme, quella pianta, quello strapianto. Le sinapsi corrono, le parole attraversano i sentieri neuronali alla velocità della luce.

 

Ma con più consapevolezza, oggi, posso dire che respirare, prendersi il tempo libero di costruire La domanda potente è una delle azioni più complesse, più adrenaliniche e più professionali che posso mettere in gioco.

 

Nell’allert ho esplicitato che non esistono domande potenti. Ci credo. Tutte le domande, nel momento in cui formulate in maniera precisa rispetto al puntino di quello che la persona ci sta portando, sono potenti. E lo sono perché sono proprio come il concime giusto al momento giusto e permettono di germogliare.

Ieri, in sessione, la semplice domanda “perché per te è rilevante questa situazione?”, ha scatenato un pianto. E’ stato lì il momento in cui ho sentito quanto non ci sono domande semplici e/o complesse. Ci sono domande, che fatte in un determinato tempo, smuovono terreni. Questo è potente. E questa è la parte di delicata libertà con cui mi piace lavorare, consapevole, un po’ di più, di quanto il fare orientamento ed avere il privilegio ci facilitare l’emersione di potenziali sia il lavoro più sfidante e bello del mondo (o almeno del mio mondo che ho raccontato in queste due pagine)

 

 

Di Sara Marchiori

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